Un quesito che gli studi professionali di commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro si stavano ponendo, così come gran parte dei loro assistiti cioè piccole e medie imprese, già prima dell’esplosione del coronavirus, per capire come affrontare l’evoluzione dello scenario produttivo e competitivo che li vede protagonisti nei prossimi anni, pena la progressiva estinzione della maggior parte di essi.
Da ora in poi, non è una scommessa credere che tale questione si pone e si porrà in modo ancora più estremo e diverso, a valle di questa “apnea produttiva” causata dal virus che attacca il respiro, anche delle imprese.
Le due realtà viaggiano in parallelo perché se da una parte il “motore”, cioè l’universo delle piccole e medie imprese cambia struttura, processi, target e prodotti, aggiornandosi in una versione 4.0, anche il “telaio” che lo sorregge e assiste, ovvero lo studio professionale, deve stare al passo andando oltre i servizi ripetitivi, divenuti ormai delle commodity.
Non solo digitalizzazione, ma anche ruoli, competenze, nuovi modelli di relazione e cooperazione devono necessariamente entrare a far parte del profilo degli studi professionali.
Come anche riportato in una recente ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano, il “nanismo” dimensionale del 60, 70% degli studi professionali, è caratterizzato da fatturati al di sotto dei 100 mila euro e da un confronto con sé stessi e la propria tradizione, anziché con le trasformazioni esterne in atto.
Questa perdurante autoreferenzialità del professionista lo rende sempre più emarginato e impreparato pertanto, l’integrazione dei servizi è uno dei temi dominanti, insieme con nuovi modelli di responsabilizzazione e coinvolgimento delle persone, che derivino dallo sviluppo di nuove skills e di aggiornate competenze di management da parte di chi gestisce l’impresa-studio.
Spostare il focus del professionista, dal tradizionale schiacciamento sulla competenza, alla gestione delle aspettative del cliente, rappresenta una sfida prima culturale che operativa.
Si tratta di superare fortissime resistenze al cambiamento, in parte connaturate ad uno spiccato individualismo “nostrano”, in parte derivanti dalla incapacità di fare diversamente.
Dunque, sarà tanto più fluido e veloce il processo di adeguamento “funzionale” degli studi professionali alle trasformazioni del mercato, quanto più sarà effettivo un cambio di paradigma nel modo di concepire lo studio, i servizi e il rapporto con collaboratori e clienti, da parte dei Professionisti-Imprenditori.
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